Testata: AutoMobilismo.
Velocissimo e grintoso, Clay è stato l’archetipo del pilota “di una volta”. Dopo l’incidente che lo costrinse in sedia a rotelle sfruttò la sua immagine in favore dei paraplegici e fondò un’associazione per la raccolta fondi, che ancora continua la sua opera
Se chiudiamo gli occhi e con la mente rincorriamo i ricordi dell’epoca “old school” della F1 è impossibile non imbattersi nei baffi e nel sorriso di Clay Regazzoni.
Scrisse per una rivista inglese nel 1959 Piero Taruffi: “Dal mio punto di vista, il vero sportivo è colui che considera la corsa non come un mezzo per raggiungere un fine, ma come un fine stesso. Non è la vittoria facile, sono i risultati utili che contano. Non è il titolo che fa il campione, ma ciò che è il campione stesso in pista”.
Parole che si applicano perfettamente alla figura di Gian Claudio “Clay” Regazzoni, che nel 2019 avrebbe compiuto 80 anni e che più volte, parlando di sé stesso, disse di correre gara per gara, senza pensare al mondiale. La cosa importante era guidare più velocemente possibile. È questo l’uomo, e il pilota, che racconteremo in queste pagine. Insieme alla figlia Alessia, che ci ha aperto le porte del Memorial Room di Lugano. Una “stanza” di ricordi con auto, caschi e memorabilia dedicata alla memoria del pilota ticinese. E scopriremo il messaggio lasciatoci da Clay, che dopo il drammatico incidente di Long Beach nel 1980, lo porterà ad essere uomo impegnato nella difesa dei diritti dei disabili e nella raccolta fondi in favore della ricerca in paraplegia.
Inizia a 18 anni con le cronoscalate
Regazzoni nasce a Lugano il 5 settembre 1939 e in breve matura in lui la passione per i motori, frequentando la carrozzeria del padre, Pio, a Mendrisio. Il ragazzo inizia così a correre nelle cronoscalate a 18 anni (le gare in pista in Svizzera sono vietate dopo Le Mans 1955), nel 1963. Clay conquista subito un quarto posto di classe, con un’Austin Healey. Nel 1964, con una Mini Cooper S, arriva il primo podio: è secondo in uno slalom. L’opportunità di correre in pista, fuori dai patrii confini, arriva grazie al connazionale Silvio Moser, nel 1965. In F3, inizia la stagione con una De Tomaso dove ottiene un sesto posto a Magny Cours, poi passa ad una Brabham ex- Moser e, a fine anno, debutta in F2 a Siracusa, con una pole position a cui segue un ritiro in gara. Nel 1966 e 1967 continua in F3. La velocità è innata, ma è incline agli incidenti. Vince comunque la gara di contorno al GP d’Italia 1966. Nel frattempo riceve la chiamata dai fratelli Pederzani di Bologna, per correre con la Tecno. Nel 1967 è secondo a Hockenheim, debutta in Inghilterra a Brands Hatch, e, a Novembre, arriva la prima vittoria, a Jarama. Nel 1968 guida per la Tecno sia in F2 sia in F3: vince a Monza e a Vallelunga, a Hockheneim conquista la coppa Europa; ma ha anche due grossi incidenti: uno a Montecarlo, dove s’infila sotto al guard rail incredibilmente senza farsi nulla; l’altro a Zandvoort, nel quale muore Chris Lambert. Max Mosley, allora pilota, che seguiva i due a poca distanza, scagiona il pilota ticinese da ogni colpa. La grande gioia di stagione arriva con la chiamata dalla Ferrari per gareggiare su Dino in F2 nel 1969. Clay accetta ben volentieri, ma la monoposto non è sviluppata a dovere, né come telaio né come motore, in debito di cavalli rispetto ai Cosworth. Il Drake ritira il team dopo quattro gare e Regazzoni torna dai Pederzani. Il 1970 è l’anno della consacrazione: vince l’Europeo F2 con la Tecno e debutta in F1, con la Ferrari 312 B, e nel mondiale Marche. In F1 è, come si direbbe oggi, un vero “crack”: è quarto al debutto in Olanda (Zandvoort) e anche al GP seguente, in Inghilterra (Brands Hatch). In Austria, a Zeltweg, è secondo e a Monza arriva una strepitosa vittoria dopo una lunga lotta con Stewart. Diventa subito italiano d’adozione per i tifosi italiani in visibilio. Una vittoria di carattere, dopo la morte di Jochen Rindt, il giorno prima. Sarà ancora secondo in Canada e in Messico terminando al terzo posto nel mondiale con 8 GP all’attivo su 13 totali (quell’anno si alterna alla guida con Ignazio Giunti). Debutta anche alla 24 ore di Le Mans, dove si ritira per incidente. Nel 1971 è in pianta stabile in F1, ma la Ferrari B2 non è competitiva come la precedente. Alla fine sarà settimo con soltanto tre terzi posti all’attivo. La crisi Ferrari continua nel 1972, anzi peggiora: per Clay ci sono soltanto un secondo posto in Germania e un terzo in Spagna. Va meglio con le Sport dove vince la 1000 Km di Monza e la 9 Ore di Kyalami. A fine stagione Enzo Ferrari, che ha grande stima e simpatia per Clay, lo informa che per il 1973 non ha né un programma ben impostato, né soldi per la F1. Gli consiglia quindi di cercare una nuova scuderia e Clay si accorda con la BRM, che ha buoni capitali con Marlboro come sponsor.
Con il team di Louis Stanley l’inizio è positivo: in Argentina, prima gara iridata 1973, fa segnare la pole position e s’invola al comando fino al 28° dei 96 giri previsti, quando è messo fuori causa dall’anomala usura degli pneumatici che lo costringe a una sosta ai box irrimediabile per rientrare in zona punti. La stagione in effetti si rivela un calvario: la BRM P160 non è sviluppata e il motore V12 è poco affidabile. Arriveranno solo due punti mondiali e un grande spavento quando, al GP del Sudafrica 1973, centra la Surtees di Mike Hailwood lasciata a bordo pista incidentata. La BRM di Clay s’incendia e lui è senza conoscenza nell’abitacolo, ma per sua fortuna Hailwood, rimasto nei pressi, si getta nel fuoco di quella che era una bomba pronta ad esplodere (l’incidente avviene al 3° giro) e riesce ad estrarre l’elvetico dall’abitacolo. Il 1973 non regala soddisfazioni nemmeno nelle gare di durata, dove Clay guida per l’Alfa Romeo.
1974 agrodolce
Per il 1974 però ha già preparato il grande ritorno in Ferrari, dove “porta” con sé dalla BRM il giovane Niki Lauda. È l’anno in cui inizia la rinascita della scuderia di Maranello, grazie al ritorno anche di Mauro Forghieri che stravolge la 312 B3 (che è quasi una “B4”), ai capo meccanici Giulio Borsari (Regazzoni) ed Ermanno Cuoghi (Lauda) e alla FIAT che, oltre al giovane Luca Cordero di Montezemolo come ds, fornisce i soldi per costruire la pista di Fiorano, dotata di un complicato sistema di cronometraggio che ha in sé primitivi concetti di telemetria. “Un’organizzazione da NASA”, la definisce Niki Lauda: la Ferrari sta portando la F1 nell’era moderna.
La stagione comincia bene: Clay è terzo in Argentina e secondo in Brasile e in Spagna, a Jarama, dove vince Lauda. A Monte-Carlo la prima fila è tutta rossa ma in pole c’è l’austriaco; Clay arriva quarto stringendo i denti perché i meccanici gli hanno fissato male il sedile. Regazzoni vince meno dei rivali ma è più costante, sul podio in Olanda, secondo, e Francia, terzo. Il 4 agosto, al Nuerburgring, coglie una strepitosa vittoria, in testa dal primo all’ultimo giro con 50” di vantaggio su Scheckter: “Quel giorno era semplicemente imbattibile. Sentivo cambiate perfette” disse il fidato capo meccanico ed amico Borsari. Una foratura gli costa il podio in Austria. Podio su cui invece salirà in Canada, con un secondo posto che vale oro in ottica mondiale: è in testa al mondiale a pari punti con la McLaren di Emerson Fittipaldi. Si arriva così all’ultima gara, il GP USA: la settimana prima di quella di gara a Watkins Glen si tiene una sessione di prove libere, in cui Regazzoni ha un incidente che gli costa, oltre a una slogatura alla caviglia, un grave danno alla monoposto che richiede l’invio di una nuova scocca da Maranello. La sua 312 B3/4 va così riassemblata sul posto, e nel fine settimana di gara peggiora via via di sessione in sessione, con un problema agli ammortizzatori irrisolto. Inoltre Forghieri arriva al Glen soltanto il sabato pomeriggio, a causa del visto per gli USA scaduto. Fittipaldi parte ottavo e finisce quarto ed è campione del mondo perché Regazzoni, partito nono, conclude solo 11°.
Ho iniziato bene passando Fittipaldi
Bastava solo che gli rimanessi davanti. Invece la macchina man mano è peggiorata e non è servito nemmeno cambiare gomme. Inoltre Mass mi ha toccato danneggiandomi il braccetto dello sterzo. Ma non mi lamento, la stagione è stata buona. Questo secondo posto ha per la mia carriera un grosso significato. Se le macchine saranno così anche il prossimo anno, la partita con Emerson Fittipaldi è solo rimandata”. Queste le dichiarazioni, dopo la gara, del ticinese, speranzoso di vincere il mondiale in seguito. Speranza non condivisa dall’amico Borsari: “Clay, il mondiale non lo vinci più”. Il suo meccanico sa che in Ferrari c’è una “corrente” pro Lauda fomentata da Montezemolo, giovane e più in sintonia con il quasi coetaneo austriaco, che con l’esperto pilota elvetico.
Nel 1975 e 1976 infatti Lauda diventa a tutti gli effetti la prima guida. Niki può misurare e scegliere i set di gomme migliori. Ottiene perfino dalla Goodyear di farli produrre sempre dallo stesso tecnico. Clay scorta Lauda verso il titolo di campione del mondo nella seconda stagione di convivenza in rosso. Ottiene una strepitosa vittoria a Monza. Il feeling con l’autodromo ed i tifosi italiani è sempre alto. Il 1976 è invece un anno dai mille risvolti complicati. Regazzoni domina a Long Beach con un “Grand Chelem” (pole, giro più veloce e tutto il GP in testa); è secondo in Belgio. Ma è sempre Lauda davanti in classifica, fino all’incidente in Germania. Il ds è ora Daniele Audetto, ma la Ferrari, invece di stringersi attorno a Clay, prima cerca Fittipaldi, poi Peterson e infine chiama Reutemann. La Scuderia salta il GP d’Austria per protesta contro l’accoglimento della Federazione del ricorso McLaren in Spagna, dove James Hunt era stato squalificato per le misure non conformi della sua M23. Clay è ottimo secondo in Olanda, al rientro. A Monza, tra lo stupore di tutti, Lauda torna al volante: la Ferrari iscrive tre auto. Clay, secondo in quel GP, è rassicurato che la presenza di Reutemann è provvisoria e nulla ha a che vedere con il 1977. Invece, non sarà cosi. Nell’ultima gara dell’anno, nel nubifragio del Fuji, tutta l’attenzione è per Lauda: dopo il suo clamoroso ritiro, Clay, in una gara pazza, non è supportato a dovere dal muretto box, nonostante potrebbe togliere punti proprio ad Hunt e magari far vincere ancora il mondiale a Lauda.
Ensign
Per il 1977, dopo aver rifiutato una proposta della McLaren perché pensa di essere sicuro in Ferrari, firma per la Tissot Castrol Ensign di Morris Nunn. La N177 non è competitiva, ma Clay ancora sì e va a punti in Argentina, Italia e USA-Est.
Nel 1978 passa alla Shadow di Don Nichols, che però ha perso molti elementi, andati a fondare l’Arrows di Jackie Oliver. Pur tra mille difficoltà, Regazzoni ci mette il “piede” e va a punti in Brasile e Svezia.
Per il 1979, arriva la chiamata della Williams, che finalmente si può permettere piloti di vaglia. E Regazzoni la ripaga con la prima vittoria del team, proprio nel GP di casa a Silverstone. Sarà per lui invece l’ultima. Frank Williams pensa che Clay, 40enne, non sia più veloce come un tempo e per il 1980 gli preferisce Carlos Reutemann.
Ma Clay non fa polemica, da signore qual è: potrebbe andare a correre per Carl Haas in Can-Am, ma decide di tornare alla Ensign dell’amico Mo Nunn. Nelle prime tre gare non si qualifica. A Long Beach, GP USA-Ovest, ci riesce, in ultima fila. La vita di Clay sta per cambiare per sempre. Al 51° giro resta senza freni alla fine del rettilineo. Come racconta nell’autobiografia, scala dalla quinta alla terza per ridurre la velocità. Poi spegne il motore e cerca di ridurre la velocità appoggiandosi e strisciando contro il muretto alla sua sinistra. Purtroppo più avanti c’è la Brabham di Zunino, abbandonata fin dal primo giro. Clay la centra, sbatte contro il muretto di destra e rimbalza dalla parte opposta contro un muretto di cemento, coperto da vecchie gomme e reti, che segna il confine della pista. Sulla sua Ensign si è rotto il pedale del freno, in titanio: proprio in questa gara la pedaliera è tutta nuova, per motivi di leggerezza. I soccorsi impiegano mezz’ora ad estrarre Clay dalla scocca piegata e praticamente senza parte anteriore della blu, bianco e rossa Ensing. È vivo, ma ha una lesione alla dodicesima vertebra, provocatagli dal motore che si è spostato in avanti. Il rivale del ’74, Fittipaldi, che terminerà sul podio, lo seguiva da vicino e pensava fosse morto. Regazzoni subisce un primo intervento alla schiena a Long Beach e poi torna in Svizzera, a Basilea, in una clinica specializzata per cercare di curare il problema alla colonna vertebrale. Inizia per Clay un calvario lungo e doloroso di operazioni e riabilitazioni in diversi ospedali nella speranza di non perdere l’uso delle gambe. Purtroppo rimarrà per sempre su una sedia a rotelle.
Per la F1, l’incidente di Regazzoni sarà una sveglia per la sicurezza dei piloti, il cui abitacolo per motivi aerodinamici è molto avanzato, tanto che i piedi sono oltre la pedaliera. Jean Marie Balestre, presidente FIA, introdurrà i primi crash test nel 1982 (dopo le morti anche di Paletti e Villeneuve, ndr) e dal 1983 saranno eliminate le minigonne. Le piste e le vie di fuga inizieranno ad essere oggetto di attenzione e modifica. A Long Beach la F1 prende coscienza che la sicurezza dei piloti deve venire prima di ogni cosa.
Clay in seguito sarà voce dei GP di F1 per la Rai, assieme a Mario Poltronieri ed Ezio Zermiani. Proprio dai microfoni Rai lo abbiamo spesso sentito chiedere di migliorare la sicurezza dei piloti. Ed era lì a ricordarcelo, ogni volta che lo vedevamo dai circuiti vivere la vita normalmente nonostante la disabilità. Il messaggio era buono allora, lo deve essere oggi, e nella sua memoria lo dovrà essere anche domani. “Amo guidare velocemente. Anche quando ero in F1, per me era più importante guidare la macchina che pensare a diventare campione del mondo”.
Non solo F1
Come molti colleghi piloti dell’epoca, Clay gareggiò in tante categorie: nell’Endurance con Ferrari, vincendo la 1000 Km di Monza e la 9 ore di Kyalami, e con l’Alfa Romeo 33 TT12. Nel 1977 disputa la 500 Miglia di Indianapolis, primo piloti di F1 dopo Clark e G. Hill, con una Mclaren gestita dalla Theodore Racing di Teddy Yip. Porta con sé l’amico meccanico Borsari, che prende un periodo di ferie dalla Ferrari. L’avventura terminò al 25° giro per una perdita di carburante, ma la vittoria fu l’essere uscito indenne dall’incidente in qualifica (su YouTube c’è il filmato), che peraltro lo costrinse a partire in ultima fila. Dopo l’incidente di Long Beach lo abbiamo visto impegnato nei rally raid in tutto il mondo. Alla Parigi – Dakar ha domato i potentissimi camion nell’epoca ancora selvaggia e pionieristica dell’avventura africana. Gli capitò perfino di passare una notte in mezzo al deserto, con il camion in fiamme, in attesa di essere recuperato. Una volta decise di guadagnare tempo -ci ha raccontato la figlia Alessia- tagliando per una galleria ferroviaria a senso unico rassicurando il navigatore con il fatto “che in Africa passa un treno al giorno”. Partecipò anche a gare di Regolarità e kart, dove nel 1999 in un incidente si ruppe anche una gamba. Queste erano esperienze che facevano di Clay un personaggio amante dei motori a tutto tondo, nonostante la disabilità.
Sempre attento ai meno fortunati
La vita di Clay Regazzoni cambia con l’incidente di Long Beach.
Ho scoperto un nuovo mondo. Specialmente in Italia, dove la quotidianità delle persone con handicap non era affatto facile
Clay realizza in fretta che il paraplegico è destinato a restare chiuso in casa, se non si fa qualcosa. Per chi è sulla sedia a rotelle ci sono troppe barriere, architettoniche e culturali. Lui capisce che con la sua notorietà può fare qualcosa, così inizia a farsi vedere ovunque in sedia a rotelle. Prende aerei, vai ai gran premi, subisce a volte anche delle umiliazioni in luoghi con barriere architettoniche, ma non molla.
Comincia così dal suo grande amore: la guida. In Italia non esistono i comandi rapidi al volante che permettano ai paraplegici di guidare normalmente e, nell’idea di Clay, anche velocemente in pista. Allora vola negli USA, dove le cose sono molto avanti rispetto all’Italia, anche grazie al cambio automatico, per capire lo stato dell’arte. Ma bisogna adattare l’esistente alle auto con il cambio manuale; così chiede a gran voce alle case automobilistiche che inizino a preoccuparsi dei tanti che sono nella sua stessa condizione. È una rivoluzione: Regazzoni ci mette la faccia, il corpo, l’anima, ma in cuore suo è la faccia di ogni persona nelle sue condizioni. La sua immagine di disabile diventa di dominio comune. Viene perfino cambiato il regolamento stradale, nel 1988, con la legge 111. Ora, grazie al pilota ticinese, i disabili possono guidare anche auto di più grossa cilindrata, più grandi e quindi adatte al trasporto di carrozzine. Nascono così i comandi rapidi specifici: un cerchio nel volante da premere per accelerare e la frizione servo-assistita nel pomello del cambio; il freno manuale tramite una leva. Quelli che vediamo oggi nelle auto, e nello loro evoluzioni successive, ebbene si, sono così proprio grazie allo sviluppo fatto da Clay Regazzoni. Poi, per farli conoscere, fonda una scuola di pilotaggio per disabili.
Nel frattempo, grazie a questi comandi al volante, non smette di correre. Lo vediamo impegnato in Rally-Raid, kart, rievocazioni storiche. La Honda lo usa come uomo immagine per i disabili in Giappone fornendogli una NSX con comandi rapidi. Su Youtube c’è un filmato in proposito.
Il motorsport lo porta a sognare di vedere piloti disabili in gara con i colleghi normodotati. Al GP d’Italia 1985 organizza una gara con i migliori ragazzi della sua scuola di pilotaggio al volante di Alfa Romeo.
Poi decide di raccogliere fondi da destinare alla ricerca. Nasce così, nel 1994, il Club Clay Regazzoni Onlus (www.clubclayregazzoni.it), che lega sport e beneficenza per gli ospedali Niguarda di Milano, Montecatone e Bergamo. Finora ha raccolto quasi 900mila euro. Nel Memorial Room (www.clayregazzoni.com), gestito dalla moglie Mariapia e dai figli Alessia e Gian Maria, continua la “mission” di Clay. Qui il suo messaggio è più vivo che mai, sia per la ricerca a favore della paraplegia, sia per sensibilizzare sulla sicurezza stradale i tanti giovani delle scuole che vengono qui.