Testata: Kerb Motori.
HA SPENTO IL MOTORE: È STATO IL MECCANICO DEI PIÙ GRANDI
di Andrea Cittadini e Luca Giraldi – Foto Ferrari, Maserati
Giulio Borsari, classe 1925, è morto mercoledì 27 marzo a Modena. Ci eravamo sentiti al telefono la settimana prima. Serviva una sua foto per questo articolo. Grandissima persona Giulio: un signore. Ha fatto la storia della F.1 dall’altra parte della barricata: quella dei meccanici. Entrò come meccanico in Maserati dopo la guerra e seguì l’epopea del Tridente con assi come Stirling Moss e Juan Manuel Fangio, tanto che fu testimone dell’incredibile successo del “Campeon” al Nürburgring. La chiusura del reparto corse alla fine di quell’anno lo portò a Napoli, su suggerimento di Stanguellini: lavorò alcuni mesi da Sabatino Paganelli, elaboratore Lancia e costruttore della vettura omonima. Al ritorno a Modena fu assunto da Mimmo Dei della Scuderia Centro-Sud. In questi anni fece provare una Osca all’olimpionico Livio Berruti sull’Aerautodromo di Modena, come da foto nell’altra pagina. Nel 1962 Borsari entrò alla Ferrari e due anni dopo divenne capo-meccanico della squadra di F.1. E’ rimasto a Maranello fino al 1977, seguendo campioni come Bandini, Regazzoni, Surtees, Ickx. Fece in tempo anche ad assistere alle prime esperienze di Gilles Villeneuve. Ma l’età delle pensione ormai era arrivata; inoltre il Drake non aveva mandato giù che lui avesse preso dei giorni di ferie per andare a Indianapolis a veder correre Regazzoni, ospite di Clay. Infatti lo aveva spostato a seguire i motori Dino V6 di F.2 che nel ’77 Ferrari concesse alla Scuderia Everest di Giancarlo Minardi, per equipaggiare le Ralt prima e le Chevron poi, nel 1978: piloti Brancatelli, Leoni, Guerra e De Angelis. Meglio lasciare, si chiuderva un ciclo. Il destino di Borsari è stato legato soprattutto a quello di due piloti: Juan Manuel Fangio e Clay Regazzoni. Curiosamente entrambi vinsero al Nürburgring nella giornata del 4 agosto; nel 1957 l’argentino, nel 1974 il ticinese. Il 4 agosto dell’anno 1967, corre invece la mia data di nascita. Un filo rosso lega questi due successi a Borsari e in qualche modo anche a me, visto che mi fa piacere sapere che in quella data due eccellenti cavalieri fecero la loro magnifica impresa. Borsari fu molto vicino anche a John Surtees e a Jacky Ickx, entrambi accomunati da un altro aneddoto: si sentiva in colpa perché per un suo errore incapparono in due brutti incidenti, ma fortunatamente non ci furono conseguenze. Due sbagli in carriera possono capitare a tutti e la grande giostra delle corse, specie all’epoca, prevedeva anche queste evenienze. Grande l’onestà intellettuale di Borsari comunque, nel ricordare questi episodi. Una volta in pensione, Borsari ha continuato a seguire il mondo delle corse, e ha fondato il “Club Meccanici Anziani Formula Uno. Dal suo libro “La Ferrari in tuta” scritto con Cesare De Agostini – edizioni Autosprint, estrapoliamo questo scambio di cortesie. “Quando l’agenzia viaggi di Lugano mi comunicò che c’era un biglietto prenotato a mio nome per il volo Milano-New York-Indianapolis, confesso, è stato il momento più bello della mia carriera di meccanico da corsa. Era il 20 maggio 1977: avrei potuto assistere alla più spettacolare e famosa corsa del mondo. Se ho vissuto quei lunghi esaltanti momenti, lo debbo alla sensibilità di un carissimo amico e di un grande campione: Clay Regazzoni. Grazie Clay! Giulio”. Queste sono invece le parole di Clay: “Giulio, oltre ad essere stato il capomeccanico della mia squadra, è un amico, un “fedele”. Con me ha gioito e sofferto durante la mia permanenza in Ferrari. Amava lui stesso collaudare le vetture, dare l’ultimo tocco con molta cura e precisione. Lo ricordo, quando ancora non esisteva la pista di Fiorano, dopo ogni revisione delle vetture, girare sull’acciottolato del cortile interno della fabbrica, a Maranello, per il primo rodaggio. Clay Regazzoni”.
BORSARI RICORDA FANGIO
“Quel 4 agosto al Nürburgring, noi della Maserati utilizzavamo pneumatici Pirelli, i migliori, ma che non coprivano l’intera distanza. Ferrari, invece, aveva gomme Englebert che duravano per tutta la corsa. I giri in programma erano 22, Fangio doveva dunque fermarsi a metà gara per il cambio. Decidemmo di farlo partire con metà serbatoio, per sfruttare il minor peso rispetto alle Ferrari; avrebbe dovuto costruirsi un vantaggio sufficiente a tenere la testa anche dopo la sosta ai box. Al via scattarono Mike Hawthorn e Peter Collins, poi dopo due giri Fangio andò al comando, fermandosi come previsto al dodicesimo passaggio. Durante la sosta, ecco l’inconveniente! Nel cambiare le ruote posteriori, il gallettone di quella destra rotolò via e finì sotto la macchina. Una volta inserita la gomma nuova, il meccanico Manni non lo trovò più! Io normalmente facevo il rifornimento di benzina, ma in quell’occasione se ne stava occupando Guerrino Bertocchi, il capo-meccanico Maserati. Insomma, io ero lì intorno, fortunatamente lo vidi e urlai: “il gallettone, il gallettone!”. Fangio ripartì dopo 54-55 secondi, trenta in più del previsto! Infatti mediamente ne servivano 20-22. Mancavano dieci giri, e doveva recuperare quasi un minuto. Quella, credo sia stata, come poi lo stesso pilota argentino ha confessato in varie occasioni, la corsa dove ha rischiato di più, perché recuperare 10-12 secondi in un giro al Nürburgring significava andare alla disperata. Lì ha dimostrato e ha fatto vedere quello che era: il Maestro. Di mondiali ne aveva già vinti quattro. Ne aggiunse un quinto. Giulio Borsari”.