L’uomo che non sapeva arrendersi

Testata: Il Giornale del Popolo.

Esattamente 9 anni fa moriva in un incidente stradale l’indimenticato Clay Regazzoni. La carriera e la vita di uno dei personaggi di spicco dello sport ticinese e svizzero. La sofferenza e le vittorie.

di Gabriele Botti

Quando nel 2000 Clay Regazzoni venne nominato, con Michela Figini, sportivo ticinese del secolo, nessuno si meravigliò e nessuno scosse la testa. Furono tutti d’accordo e contenti. Nato il 5 settembre 1939 e cresciuto a Porza, Clay ha incarnato la figura del vincente, sia quando correva, sia successivamente, quando dopo l’incidente di Long Beach rimase paralizzato e fu costretto su una sedia a rotelle. Era il 30 marzo 1980. Da lì prese avvio una nuova vita che, se la osserviamo con un minimo di attenzione, è stata però molto simile a quella precedente. Una vita da vivere tutta d’un fiato, senza piagnistei e con la voglia matta di confrontarsi con i propri limiti e con gli altri.

Clay morì il 15 dicembre 2006, esattamente 9 anni fa. Aveva 67 anni e la sua vita si spense, causa un malore, lungo l’autostrada A1 all’altezza dello svincolo di Fontevivo con l’A15 Parma-La Spezia. I funerali si svolsero nella chiesa del Sacro Cuore di Lugano alla presenza di tantissima gente, tifosi, amici, tra cui Niki Lauda e Jackie Stewart. Un’ultima dimostrazione di affetto e di rispetto. Clay riposa da allora nel cimitero della sua Porza.

LA CARRIERA – Dopo l’apprendistato di carrozziere nella ditta dello zio a Mendrisio – «e spinto dall’amico Silvio Moser», così recita la sua biografia ufficiale – nel 1963, all’età di 24 anni, Clay debutta nelle corse disputando alcune cronoscalate con una Austin-Healey Sprite 950. Nel 1965 prende parte al corso di pilotaggio di Jim Russell e risulta essere il migliore, guadagnandosi l’ingaggio in Formula 3 su di una Brabham-Ford.

Disputa la sua prima gara di Formula 2 nel 1966 a Siracusa, sempre con una Brabham, dove coglie la pole position. L’anno seguente disputa varie gare in F3, salvandosi miracolosamente in un incidente occorsogli sul circuito di Monte Carlo. L’anno della sua definitiva consacrazione è però il 1970, quando diventa campione europeo di Formula 2 con la Tecno, vincendo 4 su 8. Sempre nel 1970 fa un debutto sensazionale in Formula 1 con la Scuderia Ferrari: va subito a punti ottenendo il 4° posto al Gran Premio d’Olanda e dopo quattro gare vince il Gran Premio d’Italia. Il 6 settembre 1970 a Monza si contavano 200.000 spettatori e 40.000 arrivavano dalla Svizzera!

Clay termina il campionato al 3° posto, alle spalle del compagno di squadra Jacky Ickx e di Jochen Rindt. Dopo una “pausa”, nel ’74 torna alla Ferrari, suggerendo a Enzo Ferrari l’ingaggio del giovane austriaco Niki Lauda e andando a formare, con il direttore sportivo Luca Cordero di Montezemolo e il direttore tecnico Mauro Forghieri, la base del gruppo che riporterà la Rossa ai vertici mondiali. In un triennio la coppia di piloti porta a Maranello due titoli costruttori (nel 1975 e nel 1976).

Clay raggiunge nel 1974 il suo miglior piazzamento nel mondiale piloti, secondo a sole 3 lunghezze da Emerson Fittipaldi. Ma per vari motivi, il rapporto con la Ferrari si deteriora e Clay si accasa alla neonata Ensign nel 1977, e poi alla Shadow nel 1978. Nel 1979 Frank Williams lo assume nella sua squadra a fare coppia con Alan Jones e Clay non tradisce, regalando alla squadra inglese la sua prima vittoria a Silverstone e diversi buoni piazzamenti (tra cui un 2° posto conquistato a Montecarlo, partendo dalle ultimissime file dello schieramento).

Tornato all’Ensign, Clay chiude in modo drammatico la sua carriera a Long Beach. Pur costretto su una sedia a rotelle, non ha mai abbandonato  il mondo dei motori partecipando ad alcune gare rallystiche su vetture con comandi modificati, e rivelandosi ottimo commentatore sportivo, oltre che instancabile promotore dell’inserimento dei disabili nello sport: in questo senso, è stato nel 1993 uno dei fondatori della Federazione Italiana Sportiva Automobilismo Patenti Speciali (FISAPS).

PER GLI ALTRI – Leggiamo da un articolo a lui dedicato: «Clay ha saputo affrontare come pochi la sventura di finire su una sedia a rotelle negli anni del suo massimo fulgore professionale, piegando questa tragedia in uno slancio per compiere nuove imprese positive». Su tutte spicca l’associazione Clay Regazzoni Onlus-Aiutiamo la Paraplegia, costituita nel 1994 per raccogliere fondi da devolvere a Enti e Istituti che operano nella ricerca sui problemi legati, appunto, alla paraplegia. Nei suoi anni di attività, la Onlus – tuttora attiva e sostenuta dalla famiglia Regazzoni – ha raccolto tantissimi soldi, versati per la maggior parte al reparto di Uroparaplegia dell’Ospedale di Magenta. Attualmente il Club conta oltre 900 sostenitori.

Nel 1995 Clay s’impegna tra i membri fondatori dell’Istituto internazionale per la ricerca sulla paraplegia (IRP) di Ginevra, una prestigiosa fondazione che finanzia gli studi scientifici del settore in tutto il mondo. Perseguire tali obiettivi richiede naturalmente disponibilità ingenti e Clay mette a disposizione la sua immagine e le sue relazioni per contribuire al reperimento di fondi ovunque ciò sia possibile. E – citiamo un passo del libro di Cesare De Agostini e Gianni Cancellieri “Regazzoni, è sempre questione di cuore” – «fino all’ultimo dei suoi giorni sempre con la stessa grande generosità dissimulata da quel sorriso o quell’alzata di spalle con cui voleva convincere tutti di aver fatto niente di più che la cosa giusta».

SCRITTORE – Clay è anche autore di due libri: “È questione di cuore” (vincitore del Premio letterario del Coni e del Premio Bancarella) e “E la corsa continua”.

 

 

 

 

Pubblicato in Rassegna stampa.